UNIVERSITA' POPOLARE DI BOLOGNETTA

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30/10/10

STORIA DI BOLOGNETTA del Prof. SANTO LOMBINO (terza parte)

I Beccadelli Bologna e la vendita del feudo

Occupiamoci adesso delle ragioni, delle modalità e dei tempi con cui Marco Mancino diventò La scelta del sito

La scelta, probabilmente, non è stata facile, dal momento che a cinque chilometri era già sorto, attorno al castello dei Beccadelli Bologni ricostruito verso la metà del Cinquecento ed in prossimità di zone precedentemente urbanizzate, l’abitato della nuova Marineo[i]. La città nuova di Ogliastro era in competizione diretta anche con la nascita di Villafrati promossa dal barone De Spuches e con quella di Cefalà già munita di licentia populandi, licenza di popolamento, poste nel raggio di appena dieci chilometri[ii]: ma la facilità con cui noi oggi percorriamo queste distanze non ci deve far dimenticare la situazione delle strade e dei mezzi di trasporto di quattro secoli fa, che rendeva grandi le distanze che noi copriamo in pochi minuti.
Altro elemento che con molta probabilità favorì la scelta baronale fu la posizione orografica favorevole della contrada della Guardiola dove furono costruite le prime case e le strade[iii]. Si tratta di un territorio collinare senza particolari asperità posto ai piedi di rilievi, come Chipari, Casachedda, Balatelle, Giampietra e Giampaolo, di altitudine non superiori ai 700 metri, tuttavia utili per difendersi dai venti provenienti dal sud e ricchi d’acqua: su tale territorio in leggero pendio, quindi con un deflusso delle acque piovane o dei torrenti tale da evitare le inondazioni o le frane, dovette essere relativamente facile tracciare le nuove strade. Si aggiunga il clima temperato anche dalla relativa vicinanza del mare posto a circa venti chilometri e alla presenza del rilievo di il nuovo signore del feudo. La concessione di Federico III di Aragona, prima citata, risalente al 1306, indicava il bosco di Casaca come componente del feudo di Cefalà, di cui ha seguito per altri tre secoli le vicende. Agli inizi del Cinquecento la baronia di Cefalà, confiscata dalla Corte reale di Spagna al nobile ribelle Federico Abbatellis, conte di Cammarata (giustiziato nel 1523 dopo la rivolta guidata dalla famiglia Imperatore), fu acquistata all’asta per 40.000 fiorini da Francesco Beccadelli Bologna (o Bologni), marchese di Pilo Capaci e Marineo, che si era schierato a favore della dinastia spagnola, come del resto i Bologna avevano fatto nel 1517, quando erano stati trucidati in chiesa i sostenitori di Gianluca Squarcialupo. Divenuto tesoriere del regno proprio grazie alla difesa degli interessi reali nella rivolta del 1523, Francesco era membro di una famiglia aristocratica giunta appunto da Bologna nel Trecento, che, con accorta e spregiudicata strategia, aveva scalato nel giro di un secolo molte posizioni, accumulando con tutti i mezzi possibili una vasta proprietà immobiliare ed occupando incarichi di rilievo a livello religioso e politico, in Sicilia come alla corte imperiale. I Bologna ebbero nei vari rami il titolo di principi di Camporeale, duchi d’Aragona e marchesi di Capaci e Sambuca d’Altavilla[iv].
Come altre famiglie feudali, i Beccadelli Bologna, che alla fine del XVI secolo ricavano un reddito annuo di 4.400 once dai loro feudi ed occupano la quindicesima posizione nella graduatoria dei signori siciliani[v], si rendono conto dei grandi e diversi vantaggi che possono trarre dalla messa a coltura o da un più intenso sfruttamento dei feudi di loro proprietà disseminati all’interno dell’isola, da attuarsi mediante la colonizzazione dei territori interni. Vantaggi economici, dato che l’aumentata domanda di granaglie ne faceva lievitare i prezzi, vantaggi politici perché l’essere feudatari di un centro abitato comportava l’esercizio del mero e misto imperio, cioè l’amministrazione della giustizia civile e penale sugli abitanti, e, se il nuovo insediamento avesse raggruppato almeno ottanta famiglie, anche il diritto di voto nel Parlamento siciliano, sede del potere baronale. Sono quindi tra i più attivi nel promuovere il ripopolamento delle zone interne dell’isola, dove fino ad allora era prevalsa la pastorizia, con la fondazione di nuovi paesi.
Ad Aloisio (Aloysius, Luigi) Beccadelli Bologna, marchese di Marineo, che ne aveva fatta richiesta l’anno precedente, venne concesso nel febbraio 1570 dai reali di Spagna, come era avvenuto un ventennio prima per Marineo, il permesso di costruire una terra, un centro abitato, nel feudo di Casaca[vi].
In quegli anni la situazione patrimoniale della famiglia aristocratica è cambiata in peggio e per pagare i debiti accumulati ed evitare il dissesto finanziario, i Beccadelli, come altri patrizi titolati in Italia e fuori, sono costretti a vendere parte del patrimonio. “Dopo il costruttore delle fortune di una famiglia - scrive Orazio Cancila anche a proposito dei Bologna - quasi inevitabilmente, alla prima o alla seconda generazione successiva, cominciava il processo di indebitamento”[vii]. Il marchesato perde allora vari pezzi: nel 1572 viene venduta la baronia di Cefalà a Luigi Scavuzzo, mentre nello stesso 1600 vengono venduti il feudo di Mendoli e la masseria di Villafrati all’avvocato De Spuches e, appunto, il feudo di Casaca.
A questo proposito, un bando emesso il 16 gennaio 1599 rende noto che il marchese Vincenzo Beccadelli, la moglie Emilia ed il figlio Giovanni hanno bisogno di porre in vendita i feudi denominati “le Corriole, lo molinazo, la Sovarita, casacca et la torretta”[viii]. La situazione è così grave che i loro beni sono stati posti erano sotto l’amministrazione controllata della Deputazione degli Stati; non essendo però sufficiente tale misura (“non fuit sufficiens ad solutionem”), occorre passare alla vendita per far fronte all’eccessivo accumularsi dei debiti; occorre, come scrive nell’atto di compravendita il notaio Arcangelo Castania di Palermo, evitare un disastro di maggiori proporzioni (“tantam ruinam vitare”).
Vincenzo, nipote di Francesco e figlio di Giliberto Bologna, aveva partecipato come colonnello, sullo schieramento destro della flotta cattolica, alla battaglia di Lepanto (1571), era stato ambasciatore in Spagna ed aveva occupato le cariche di deputato del regno, consigliere di guerra, pretore di Palermo, vicario generale contro i banditi, due volte strategoto di Messina, più volte governatore della Compagnia dei Bianchi di Palermo e regio consigliere. Il bando precisa che il marchese di Marineo vuole trovare un compratore “accio che co’ il prezzo si sodisfacciano li creditori più privilegiati et s’estinguano anco le subjugazioni legitimi sopra detto stato”. Chi volesse acquistare i feudi era invitato a presentare le offerte “nelle sale dell’osteri” cioè a Palazzo Steri in piazza Marina a Palermo dove “si allumerà la candela”. Si presenta un solo acquirente, Marco Mancino con cui iniziano e vanno a buon fine le trattative.
L’atto di compromesso del 2 marzo 1599 e quello di vendita del settembre 1600 comportano il dismembramento del feudo che fino ad allora era stato “membro e pertinenza del marchesato di Marineo”. Al costo di 11.000 once, vengono trasmessi all’acquirente e ai suoi eredi non solo il fondaco ma anche la potestà su tutti coloro che fossero, a qualsiasi titolo, legati al feudo (“omnem et singulos eius inquilinos colonos herbageros affittatores arrendatarios gabellotos”), segno che quel territorio proprio abbandonato non doveva essere. Insieme, veniva ceduta “la facoltà ed il potere di abitare e di far abitare qualsivoglia numero di uomini ed anche di costruire e di popolare un paese o i casali o una torre fortificata o un castello in qualunque parte del feudo”, vale a dire la licentia populandi acquisita da Luigi Bologna nel 1570. L’atto del notaio Castania fa però riferimento ad un’altra concessione reale, che risale al maggio 1573, esecutoriata il 6 maggio 1574: ci troviamo dunque di fronte a due licenze edificatorie, mentre altri comuni, come Villafrati, non ne ebbero alcuna.
Nello stesso contratto viene imposto in modo esplicito l’obbligo per l’acquirente “che il paese stesso si nominasse e chiamasse Bolognetta” (“ipsamque terram nominare et vocare Bolognetta”[ix]), dal nome della famiglia Bologna che vendeva il feudo. L’impegno, per precisa intenzione o per pura casualità, non verrà rispettato: nessuna sanzione è del resto contemplata in caso di violazione. La consuetudine supererà quindi gli accordi tra i nobili, e nuovo paese verrà chiamato S. Maria dell’Ogliastro. Anche in documenti scritti si trova la versione Santa Maria L’Agliastro o più sinteticamente Ogliastro oppure la variante siciliana Agghiastru, e di conseguenza Ogliastresi o Agghiastrisi sono chiamati gli abitanti. Questo nome, secondo una tradizione orale poi registrata nel Settecento, deriva dalla presenza, nei pressi o all’interno del cortile del fondaco, di una cappella votiva dedicata alla Madonna, vicino alla quale sarebbe sorto un olivo selvatico, oleaster. In un solo documento dell’epoca, l’atto di fondazione della Parrocchia, si registra la compresenza di entrambe le denominazioni. Più volte è ripetuta la formula:”Marco Mancino signore della terra chiamata dell’Ogliastro o Bolognetta”.[x]
E’attorno all’edificio del fondaco[xi] che il nuovo barone decide di promuovere la costruzione del nuovo paese, finalmente utilizzando quella licenza che non era stata adoperata dai precedenti signori.

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